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Guarda più in là del DOP: guida alle voci che non trovi

Tra le lingue usate nell’India moderna, la lingua hindi non è se non la più diffusa e quella che tende a imporsi, pur tra contrasti gravissimi, come lingua dominante nell’Unione Indiana, affiancandosi da un lato all’inglese negli usi ufficiali e interregionali, restringendo dall’altro lato entro cerchie geograficamente e socialmente delimitate la circolazione dei rimanenti idiomi. Fuori dei confini dell’Unione Indiana, prevalgono nel Pakistan (occidentale) l’urdù, nel Bangladesh l’urdù e il bengali, nello Sri Lanka (già Ceylon) il singalese e il tamil. Quest’ultimo appartiene alla famiglia dravidica ed è in uso, come le altre parlate della stessa famiglia, anche nella parte me­ridionale della penisola indiana. Invece hindi, urdù, bengali e singalese rientrano tutti nella grande famiglia indoeuropea, e sono imparentati quindi con la maggior parte delle lingue d’Europa. Modeste sono in parti­colare le differenze tra hindi e urdù: il primo mantiene meglio l’aspetto tradi­zionale delle lingue indiane antiche e medievali, si scrive tuttora coi ca­ratteri devanagarici e alimenta il suo lessico con voci attinte al sanscrito; l’urdù, parlato in maggioranza da indiani di religione mussulmana, ha più o meno la stessa struttura grammaticale della lingua hindi, ma nel les­sico ha accolto un gran numero d’elementi persiani e nella scrittura ha adottato l’alfabeto persiano, d’origine araba.

I nomi propri indiani registrati in questo «Dizionario» si presentano molte volte in due forme: quella locale, data in traslitterazione scientifica con frequente uso di segni diacritici; e quella fissata dagl’inglesi durante i due secoli della loro dominazione e fondata di regola, non solo per le con­sonanti ma anche per le vocali, sui valori fonetici dell’alfabeto inglese. Sic­come si trovano in questa condizione tanto i nomi in hindi quanto i nomi in altre lingue indiane, così le avvertenze che qui si danno per la let­tura dei primi valgono in gran parte anche per la lettura dei nomi appar­tenenti a quelle altre lingue.

Avvertenze per la lettura:

a

se è breve, suona a (propriamente, un’a poco aperta, tendente verso 9, tanto che negli adattamenti inglesi è resa con u); se è lunga (scritta ā), suona aa (che è senz’altro il suono, prolungato, dell’a it.);

bh

suona bh (ossia b it. accompagnato da aspirazione);

ch

suona © (ossia c(i) dolce it.);

chh

suona ©h (ossia c(i) dolce it. accompagnato da aspirazione);

suona C;

dh

suona dh (ossia d it. accompagnato da aspirazione);

h

suona Ch;

e

suona % (ossia e chiusa it.);

g

suona g (ossia g(h) duro it.);

gh

suona gh (ossia g(h) duro it. accompagnato da aspirazione);

h

suona h (aspirata); esprime lo stesso suono anche in bh, chh, dh, h, gh, jh, kh, ph, rh, th, h; ha invece soltanto un valore di segno diacritico nei di­grammi ch e sh;

j

suona J (ossia g(i) dolce it.);

jh

suona Jh (ossia g(i) dolce it. accompagnato da aspirazione);

DOP

Redatto in origine da
Bruno Migliorini
Carlo Tagliavini
Piero Fiorelli

 

Riveduto, aggiornato, accresciuto da
Piero Fiorelli
e Tommaso Francesco Bórri

 

Versione multimediale ideata e diretta da
Renato Parascandolo